mercoledì 14 maggio 2014

la naturopatia per promuovere il benessere



Un approccio che si rivolge alla promozione della salute e del benessere risulta essere molto differente da quello orientato alla prevenzione dei disturbi e delle malattie.
Quest’ultimo è ancorato a un punto di vista patogenetico per cui vanno apportate modifiche, ad esempio, all’alimentazione per diminuire il rischio di insorgenza di particolari problemi dipendenti da essa.
Dunque si tenderà a vietare o a costringere a un uso particolarmente limitato determinati alimenti come sale, snack dolci o salati a base di zuccheri e grassi, bibite, fritti… in modo tale da scongiurare malattie come l’ipertensione, il diabete, le cardiopatie, l’obesità.
Naturalmente è un metodo logicamente corretto ma presenta alcune conseguenze che andrebbero valutate attentamente.
In primo luogo, derivando da un’ottica patogenetica e biomedica, esso si può considerare un punto di vista negativo, in quanto tende ad una modalità prescrittiva di stile di vita corretto al fine di evitare malattie altrimenti prevenibili.
In secondo luogo considera l’individuo come organismo biochimico completamente logico e razionale, in cui mente e corpo sono separati e la prima ha il controllo sul secondo. Ovviamente sappiamo che non è così perché la parte irrazionale ed inconscia della persone, legata a bisogni e desideri inconsapevoli, è molto più dominante di quello che si vorrebbe che fosse, inoltre non esiste una mente razionale che domina un corpo-fardello a cui si può fare ciò che si vuole.
Se così non fosse basterebbe una corretta informazione sullo stile di vita più adatto per assicurare a tutti una vita sana e felice, ma le persone tendono a fare scelte diverse consapevoli di essere in errore.
Scrivere sui pacchetti di sigarette gli enormi danni che il loro uso provoca sulla salute rende consapevoli le persone del fatto che non dovrebbero fumare, ciononostante continuano nel loro comportamento e il fumo è diventata la prima causa di morte prevenibile (fonti ISTAT).
Quindi una corretta informazione sui rischi nell’adottare uno stile di vita non raccomandato è condizione necessaria ma non sufficiente per migliorare la qualità della vita delle persone.
Invece se si considera un approccio alla salute in positivo, di tipo salutogenetico, e si vede l’individuo come una persona complessa, unica, dotata di bisogni e desideri particolari, immersa in un contesto ampio fatto di relazioni interpersonali, legami affettivi ed emozioni legate alle proprie esperienze di vita, allora lo scenario che si apre sarà completamente differente.
Si creerà per cui un punto di vista orientato non più alla prevenzione di malattie ma alla promozione della salute e del benessere: essa non potrà essere di competenza della sola sfera medica ma saranno necessari i contributi delle altre scienze e delle diverse psicologie perché, come abbiamo già visto, il concetto di benessere si estende a tutte le componenti dell’individuo.
È molto diverso dire ad una persona che non deve fumare perché aumenterebbe il rischio di un cancro ai polmoni rispetto a informarla sul fatto che, diminuendo progressivamente il numero di sigarette riuscirà ad avere una vita più intensa, in quanto potrà correre e giocare al parco con i figli senza avere il fiato corto dopo due minuti, beneficiando anche del fatto che la pelle acquisirà un colorito sano e i cibi acquisiranno un sapore migliore.
In questo modo l’individuo non si mette più nella posizione di paziente passivo costretto a subire il rimprovero del medico ma di persona attiva, responsabile della propria salute e capace di modificare in prima persona le sue abitudini.
Egli va infatti incoraggiato, sostenuto nel suo percorso di vita quotidiano in positivo, perché molto spesso porre dei divieti non porta altro che a ribellioni.
Anche da un punto di vista psicologico il nostro cervello non concepisce la negazione, infatti se si chiede ad una persona di non pensare ad una determinata cosa (ad esempio il cioccolato o le sigarette), inevitabilmente il pensiero cadrà proprio su quello e, se non potrà farne uso, questo meccanismo non potrà che generare emozioni come rabbia e frustrazione.
Al contrario, se viene chiesto di pensare in positivo (ad esempio a frutta, verdura, vita all’aperto in movimento) il pensiero ricade ovviamente su questi aspetti e si potrà trovare il coraggio e la voglia di metterli in pratica, magari anche in modo graduale ma progressivo, in un’ottica di miglioramento della qualità della vita attraverso l’apertura a nuovi e salutari stili di vita, non al divieto di abitudini dannose.

la naturopatia scientifica



Comunemente la “naturopatia” viene intesa come un insieme eterogeneo di pratiche e tecniche di vario genere e diversa origine atte a curare o a guarire determinate patologie o “disequilibri” da parte di “guaritori” più o meno improvvisati.
Queste “cure” sono davvero innumerevoli, ma hanno dei punti in comune: rifiutano la medicina scientifica attuale (tutta o in parte); provengono da tempi e/o luoghi lontani oppure sono tentativi medici falliti e disconfermati dalla scienza degli ultimi tempi (ad esempio l’omeopatia); pretendono di curare in modo “naturale” ciò che la scienza medica cura con i farmaci di sintesi e con tutti i relativi effetti collaterali; effettuano diagnosi mediche o di fantasia per poi procedere alla relativa cura con la tecnica più adeguata secondo il parere incontestabile del guaritore; non hanno un metodo univoco; non si basano sull’evidenza dei fatti ma su analogie, wishfulthinking, suggestione e congetture.
Invece se si intende la naturopatia in senso psicobiologico, questa può essere considerata come
un’applicazione alla vita quotidiana di principi salutistici che si ispirano, scientificamente, a una visione della vita, della salute e della ricerca della felicità di tipo biopsicosociale, nella quale il rapporto terapeutico è quello tra individuo e ambiente, non tra rimedio naturale e patologia.
La naturopatia risulta quindi essere un’applicazione di principi scientifici derivanti da discipline che progrediscono nella ricerca utilizzando il metodo scientifico e non, come tradizionalmente considerata, una dottrina che prende ispirazione da antichi culti orientali o religioni oppure da tecniche pseudoscientifiche superate o senza fondamento al fine di elaborare dei rimedi da somministrare al cliente. Per cui il rapporto terapeutico risulta essere tra l’individuo e l’ambiente e non tra il rimedio e la patologia, altrimenti si resterebbe ancorati a un punto di vista allopatico con un punto di vista riduzionistico come quello legato al paradigma biomedico della medicina occidentale, in cui il soggetto è passivo e si lascia curare dal professionista.
In questo modo l’individuo è deresponsabilizzato dall’origine del suo malessere e viene visto come portatore di un disturbo su cui si interviene, appunto, in modo allopatico, seppur utilizzando prodotti naturali, innocui o tecniche suggestive varie.
Adottando un paradigma di tipo biopsicosociale nella cura della salute, invece, l’individuo per realizzare la sua felicità deve curare gli aspetti della sua vita che non sono solo biologici ma anche psicologici e sociali, in un’ottica sistemica e olistica.
La naturopatia può essere dunque vista anche come una filosofia pratica di vita, come un sistema e un metodo organizzato di cura della persona nella sua globalità, la cui finalità non è la cura di disturbi o patologie ma la consulenza e la costruzione di linee guida personalizzate per fornire a ciascuno gli strumenti adatti al fine di migliorare la qualità della propria vita.
Questa non deve essere intesa perciò come una modalità di diagnosi e di somministrazione di cure ma come una consulenza sullo stile di vita della persona, sostenendola e dotandola di informazioni corrette e attuali, oltre che degli strumenti affinché si impadronisca della propria vita ed effettui le proprie scelte in modo consapevole e responsabile.