lunedì 27 agosto 2018

Medici "alternativi"

Medici che propongono sedute di agopuntura ai loro pazienti, dentisti che millantano "specializzazioni" in dentosofia, pediatri che propongono alle madri di bimbi agitati qualche granello di zucchero omeopatico.
La domanda sorge spontanea: ma questi professionisti ci credono davvero in queste pseudo-cure o lo fanno per altri motivi?
Premetto subito che lascerò fuori dalla discussione tutti quei personaggi (per non usare parole peggiori) che professano cure senza fondamento a malattie gravi, impedendo che i pazienti si curino nel modo appropriato secondo la medicina basata sull'evidenza.
Quindi i criminali che dicono a persone gravemente malate di non fare la chemio perché ci pensano loro con il succo di limone a curarli li lasciamo altrove, in un posto più adatto.
Detto ciò, analizziamo brevemente qualche possibile risposta.
Se un medico ha studiato medicina, deve per forza di cose conoscere il metodo scientifico, la sua applicazione, i suoi limiti. Si presuppone inoltre che conosca pertanto come si svolga una ricerca in campo medico-scientifico, cosa sia un trial, come si interpretino i dati, quale si il ruolo della statistica, in cosa consistano le peer-review e via discorrendo.
Quindi se la comunità scientifica (e non un singolo medico o una singola ricerca) esprime un "verdetto" riguardo un determinato metodo di cura, si pensa che il medico in esame ne sia a conoscenza, visto che dovrebbero essere obbligatori anche dei corsi di aggiornamento.
Di conseguenza l'ignoranza non può essere una giustificazione, anche perché nel momento in cui viene prescritta una cura il medico deve essere a conoscenza di questa e reputarla la migliore per quel paziente in quella condizione. Ecco perché la cura delle patologie è di esclusiva competenza della classe medica: un non-medico non riceve tutta la preparazione necessaria a curare il paziente, insomma capita anche a medici affermati di sbagliare, figuriamoci a uno che non sia nemmeno ferrato in medicina!
Continuando con il discorso: se l'ignoranza non è una scusa, allora ci credono davvero o no?
Se un medico fosse realmente convinto dell'efficacia di tutta una serie di pratiche pseudo-scientifiche allora dovrebbe rinnegare gli anni che ha passato a studiare medicina e rinnegare anche il metodo scientifico. Insomma, le pratiche come l'omeopatia, l'agopuntura, la pranoterapia etc non sono tecniche che la medicina "ufficiale" non ha ancora dimostrato essere valide, ma sono metodi (tutt'altro che univoci e coerenti tra di loro) che la medicina scientifica ha già dimostrato non essere fondate.
Quindi non resta che una risposta: il medico è consapevole della mancanza di fondamento scientifico di queste "cure" ma probabilmente le utilizza (spesso in regime di libera professione) per l'effetto placebo solitamente positivo ma transitorio che hanno sulla persona, o tutt'alpiù per "accontentare" qualche paziente che vuole per forza prendere qualche "farmaco" perché sente di averne bisogno, per un disturbo che magari è passeggero o che non necessita di cure mediche (come ad esempio un raffreddore, oppure per tranquillizzare una mamma che vede il suo piccolo agitato per via dei dentini in crescita).
Certo non potrei mai pensare che un medico possa prescrivere cure inutili e invogliare gente a farsi bucare con aghi solo per trarne profitti personali, facendo credere a persone ingenue che le loro "cure speciali" possano combattere altrettanti "disturbi speciali" (Disequilibri energetici, congiunzioni astrali et similia), sono cose che fanno solo i "ciarlatani", non i professionisti della salute.
Quindi suppongo che chi lo faccia sia in buona fede, perché crede che quella sia la miglior cura per il paziente in quel momento, mosso da empatia e volontà di porre rimedio alle sofferenze di quella persona.
L'uso del placebo comporta però il sollevarsi di problemi di carattere etico, ma di questo ne parlerò in un altro post.

lunedì 20 agosto 2018

Paure e responsabilità

Osservando il mondo che ci circonda ho l'impressione di cogliere una tendenza a isolarci sempre di più, sta crescendo la diffidenza nei confronti dell' Altro.
L' alterità con le sue esperienze e i suoi valori lo troviamo spesso incomprensibile e ne abbiamo paura perché non lo conosciamo e questo timore genera rabbia e chiusura.
Nel mondo globalizzato di oggi riuscire a darsi un'identità può essere assai difficile.
Insomma, un tempo ci si riconosceva tranquillamente come "la moglie dell'idraulico", "il figlio del dottore", "la sorella del prete" e ognuno aveva già predisposto il suo futuro alla nascita, o comunque c'erano precise aspettative in merito.
Da una bambina ci si aspettava che aiutasse in casa la madre e una volta ragazza si sposasse con un uomo preferibilmente di classe sociale più agiata, sfornasse figli uno dietro l'altro, sperando che più della metà potesse arrivare all'età adulta, e passasse la vita a prendersi cura di casa, marito e figli.
Allo stesso modo un bambino era destinato a fare il lavoro del padre o a studiare per migliorare la situazione socio-economica della famiglia, per poi sposarsi e avere degli eredi.
Oggi non è più così, nel giro di un paio di generazioni la nostra società occidentale è cambiata moltissimo e la perdita di punti di riferimento e valori che un tempo erano considerati eterni è stata inevitabile.
Principalmente vedo due opposti schieramenti (riempiti da una scala di grigi intermedi).
Da un lato un nostalgico ritorno ad un passato idilliaco, puro, ordinato, dove la donna aveva il suo ruolo e l'uomo il suo: uno scenario piuttosto statico e conservatore che lascia poco spazio al confronto con la diversità e con il cambiamento.
Dall'altro vedo nuovi punti di vista, persone di tutte le età che vogliono continuare ad aprirsi al mondo, a nuovi orizzonti e possibilità, ben consapevoli del fatto che il nuovo è anche fonte di paure, insicurezze, a volte anche di fallimenti.
Questa seconda visione comporta una maggiore e faticosa presa di responsabilità dell'individuo, non più pre-determinato e pre-destinato da leggi sociali e politiche sopra il suo controllo.
È facile avere chi ci ordina di fare qualcosa, se non ci piace possiamo sempre incolpare l'autorità, se non siamo in grado di riuscire nel compito assegnatoci può non essere colpa nostra e in ogni caso non abbiamo altra scelta.
Responsabilizzare l'individuo, porlo in un mondo aperto, libero di intraprendere la sua strada (nel limite del rispetto reciproco e dei propri mezzi, ovviamente) crea una fonte di ansia incredibile, una paura visibile e un senso di smarrimento che provocano la nascita di domande a cui spesso non si riesce a trovare una risposta.
Ma questo significa crescere, no?

giovedì 9 agosto 2018

Tipologie di "Omeopersone"

Alcune persone (secondo l'istat sempre meno, fortunatamente) fanno uso di prodotti omeopatici. Ma questi individui lo fanno tutti per la stessa ragione? Sono tutti consapevoli di cosa si tratta?
Ovviamente no, altrimenti non ne farebbero uso, però secondo me possiamo distinguerli in due categorie: gli OMEO-INGENUI e gli OMEO-CREDENTI.
Mi spiego meglio.
Nel primo gruppo rientrano tutti quelli che fanno uso di omeopatia perché "me lo ha consigliato il farmacista", "sono prodotti naturali senza controindicazioni", "mio cugino che l'ha dato al figlio ha detto che ha funzionato" e via dicendo. Solitamente sono persone "normali", solo che non si sono mai poste veramente il problema di cosa siano davvero questi prodotti, spesso confondendoli con la fitoterapia o con una categoria di farmaci "leggeri" o ad azione preventiva (come nel caso dell'influenza stagionale).
Quindi usano i prodotti perché sostanzialmente si fidano dell'opinione della persona che glieli ha consigliati o prescritti.
Credo che questa tipologia di clientela sia la maggioranza, se venisse fatto il giusto lavoro di divulgazione scientifica e, con molta calma e pazienza, venissero spiegate loro le cose come stanno in realtà (lavoro che stanno già facendo i divulgatori scientifici), alla fine ci potrebbe essere una grande percentuale di successo con abbandono volontario dell'omeomagia. L'importante è non farli passare come degli stolti che credono a tutto quello che viene propinato loro ma come "vittime" più o meno consapevoli di un'abile strategia di marketing mirata ad approfittare dei bisogni delle persone.
Nella seconda categoria, gli omeocredenti, invece, rientrano tutte quelle persone appunto "credenti" che si comportano e vivono come fossero in una sorta di setta. Ragion per cui è molto difficile parlare con costoro di qualsiasi cosa, perché ti escono con esclamazioni del tipo "niente succede a caso" se racconti che sei rimasto in coda in tangenziale per un incidente, oppure che "il tuo destino della vita precedente si compirà in questa" se ti lasci sfuggire il fatto che non sei riuscito a concludere un contratto al lavoro. Solitamente questi individui fanno largo uso del pensiero magico, affidandosi all'astrologia, consultando guru, leggendo riviste pseudoscientifiche e guardano il mondo come se tutto fosse un complotto dei rettiliani, di Soros o che ne so.
Spesso per varie circostanze di vita, esperienze traumatiche varie sono arrivati ad avere una visione distorta del mondo e non la cambieranno mai perché gli serve per dare un senso ai traumi che hanno subìto.
La divulgazione scientifica viene sistematicamente ignorata oppure serve solo a rinforzare le proprie posizioni, come fosse il maligno che vuole mettere alla prova la loro fede.
Per costoro non credo ci sia molta speranza, a meno che non si rendano conto da soli della loro visione distorta del mondo, allora potranno avere tutto l'aiuto di cui hanno bisogno.
Preciso che queste categorie sono solo un modo di esporre il mio punto di vista, la realtà è complessa e ci sono sicuramente varie sfumature e zone grigie.