giovedì 28 dicembre 2017

Mercificare l'affetto

Quando eravamo bambini i nostri genitori (o altre figure parentali) soddisfacevano i nostri bisogni di cura, di attenzione, di affetto, di sicurezza.
Poi quando si diventa adulti le figure di riferimento cambiano ma le esigenze di affetto e protezione non spariscono, anzi, nei momenti di debolezza e di sconforto tornano a farsi sentire in modo preponderante.
Nelle fasi di "crisi" della nostra vita, che possono accadere a tutti seppur in modi e tempi diversi, abbiamo bisogno di qualcuno che ci rassicuri e ci dia delle giuste indicazioni per farci compiere delle scelte funzionali al nostro contesto di vita. Ma a chi ci possiamo rivolgere per questo compito delicatissimo?
Una volta le istituzioni rappresentavano dei cardini, delle basi solide su cui costruire la propria visione del mondo: lo Stato, la Chiesa (o più in generale le religioni), la medicina per colmare i propri bisogni di giustizia, di affetto comunitario, di spiritualità, di moralità, di cura delle malattie.
Oggi, invece, viviamo in un modernità "liquida" come viene definita da Bauman, in cui i solidi e incrollabili riferimenti di una volta non esistono più. L'essere umano è meno controllato dall'alto, molte delle sue scelte dipendono da se stesso e restano dunque sotto la sua diretta responsabilità: maggior libertà implica ovviamente maggior responsabilità.
Penso sia necessario essere pienamente consapevoli di questo, viviamo in un mondo dove abbiamo il potere di scelta che i nostri predecessori non sognavano neppure (sto parlando di noi occidentali benestanti), possiamo scegliere una carriera lavorativa che non è obbligatoriamente quella dei nostri genitori, le donne possono decidere di sposarsi o meno e scegliere quanti figli avere e quando (nel rispetto della biologia e in generale).
Per non parlare dei beni di consumo che oggi offre il mercato: una sconfinata serie di prodotti simili tra cui scegliere, non abbiamo mai i mezzi sufficienti per operare la scelta migliore e più razionale, anche perchè spesso ne siamo coinvolti emotivamente.
In questo scenario (rimando sempre a Z. Bauman per approfondire) abbiamo sempre maggior bisogno di qualcuno o qualcosa che ci indichi la giusta via, che ci faccia fare le scelte giuste e spesso dirigiamo questi nostri bisogni verso persone non sempre affidabili o valide.
Mi riferisco ad esempio alla commessa che adoriamo perchè ci lusinga con i suoi complimenti, che ci tratta da "cara amica" per farci acquistare ogni settimana un nuovo prodotto che promette di farci sentire fantastiche e piene di autostima (dagli integratori ai vestiti, dagli accessori ai cosmetici), oppure al ciarlatano di turno dai nomi altisonanti (omeopata omotossicologo, riflessologo plantare, chiropratico...) che ci conforta dicendo che quello che ci accade di brutto non è colpa nostra ma di "energie negative" o "blocchi energetici" che si possono risolvere con adeguate terapie passive a pagamento.
Persone che ci rassicurano, quindi, a cui delegare le nostre responsabilità, come anche nel caso delle sette: in cambio dell'eliminazione del nostro senso critico ci promettono una visione perfetta, certa e preconfezionata del mondo e della nostra vita in cui lo spazio riservato al dubbio viene prontamente eliminato da ordini e sentenze dall'alto.
Siamo adulti ma abbiamo comunque bisogno di affetto e sostegno psicologico perchè siamo esseri umani e come tali siamo sociali, non è realistico pensarsi come dei robot autosufficienti che non hanno bisogno degli altri se non per scopi prettamente utilitaristici.
Oggi ci sentiamo sempre più soli, lo spazio per la condivisione e lo scambio di affetti ed emozioni viene sempre più diminuito e disprezzato, forse è anche per questo motivo che i social (facebook, instagram, twitter...) hanno visto uno sviluppo esagerato: cerchiamo la compagnia di altri della nostra specie e lo cerchiamo nello spazio virtuale dove abbiamo maggior controllo della situazione emotiva.
Nei periodi di "crisi" abbiamo bisogno di qualcuno che ci stia accanto, per alcuni il sostegno della famiglia è importante e favorisce la crescita personale, per altri è deleterio oppure si ritrovano soli nel mondo. Per queste persone, per quelle in situazioni di fragilità o che mostrano una profonda insicurezza interiore il mondo illusorio del consumismo e delle pseudoscienze risulta essere un'alternativa molto attraente al duro lavoro interiore di consapevolezza interiore.
I bisogni di cura, di attenzione, di affetto vengono mercificati e tradotti in prodotti da acquistare o in terapie tanto inutili quanto illusorie.
E così si lavora per comprare ma le vere soddisfazioni non arrivano mai.

Proviamo a comprendere quali sono i nostri veri bisogni, ad esprimerli e a circondarci di persone che abbiano un ruolo positivo e costruttivo nella nostra esistenza, assumiamoci le nostre responsabilità e cerchiamo sempre di migliorare noi stessi e il mondo che ci circonda.

lunedì 18 dicembre 2017

Vegani, tra paure e senso di colpa

Piccola riflessione personale.
La vita dei vegani si configura come una pretesa di basare la loro esistenza su un approccio definito cruelty-free, ovvero senza crudeltà nei confronti degli animali.
Per vivere in questo modo si ritiene necessario acquistare solo alimenti, cosmetici e accessori con il marchio "Vegan". (E qui non mi pronuncio sul fatto che il marketing faccia un ottimo lavoro di vendita.)
Mi sembra che chi scelga questo tipo di filosofia di vita, questo stile alimentare sia mosso essenzialmente da alcune ragioni.
Escludo a priori il fine salutistico-dimagrante, perché non è stato dimostrato che una dieta vegana favorisca la salute o un basso peso corporeo (le correlazioni sono dovute più che altro al fatto che i vegani hanno in genere uno stile di vita più salutare) e rimando a professionisti qualificati la discussione di questo punto.
Quello che mi sembra emergere è un misto di rabbia, sensi di colpa e frustrazione che sono indirizzati verso un obiettivo preciso: la dieta onnivora (e spesso verso anche gli onnivori stessi).
"Purificando" il proprio corpo da ogni elemento derivante dallo sfruttamento animale ci si sente "purificati" anche nello spirito (o meglio, nella coscienza). Mi sembra quasi una sorta di stile di vita catartico che permetta di convivere o di accantonare i propri sensi di colpa, di qualunque natura e genere essi siano, per sviluppare e mostrare al mondo e a se stessi la propria superiorità morale, data appunto dalla rinuncia consapevole ai "piaceri della carne (e del latte, del pesce, delle uova...).
Quindi anche quando vien detto loro che la loro dieta è incompleta, troppo restrittiva entra in azione in loro bias da conferma che fortificherà il loro punto di vista, per mantenere intatto il delicato equilibrio tra sé e l'ambiente.