lunedì 8 giugno 2020

Introduzione al pensiero critico

TSpesso sentiamo dire che è necessario saper pensare in modo critico, ma cosa significa di preciso? Inoltre, è un’abilità innata o è qualcosa che è possibile apprendere?
Si tratta di studiare delle definizioni e delle categorie logiche o è più una cosa pratica?
È qualcosa che bisogna sapere per fare un certo tipo di lavoro o è più un’abilità trasversale?
 
Ci sono molte definizioni di “pensiero critico”, ad esempio il pedagogista Robert H. Ennis lo definisce come “un pensiero razionale e riflessivo focalizzato a decidere cosa pensare o fare.
Oppure Moore and Parker lo classificano come “l’attenta applicazione della ragione nel determinare se una affermazione sia o meno veritiera”.
Abbiamo quindi a che fare con qualcosa di intenzionale, che coinvolge la parte logica e razionale del nostro pensiero, legato ai nostri giudizi e che può venir applicato a moltissimi problemi, sia del mondo delle idee che del mondo reale.
 
Il pensiero critico risulta in questo modo essere una sorta di strumento intellettuale, formato da una serie di skills ovvero di competenze da apprendere e da saper utilizzare adeguatamente.
A me piace paragonarlo ad una tool box, una cassetta degli attrezzi, un accessorio da tirar fuori al bisogno, un po' come Toodles,  avete presente? Se siete giovani avrete senz’altro visto almeno una puntata della Casa di Topolino. Quando i nostri affezionati personaggi hanno bisogno di uno specifico strumento chiamano ehi Toodles e lui appare magicamente dal nulla e mette a disposizione ciò di cui hanno bisogno.
Perciò innanzitutto dobbiamo confezionarci la nostra bella cassettina, con tutti gli accessori: ci saranno sicuramente gli indispensabili e poi quelli più particolari.
Poi ovviamente chiunque è libero di personalizzarla come più gli piace. Allo stesso modo, essendo ognuno di noi diverso dagli altri e con una propria storia culturale ed esperienziale, potrà costruirsi la propria visione del mondo che, come la nostra tool box, potrà migliorare, arricchendosi di nuovi strumenti oppure, se non le dedichiamo abbastanza cura, essa potrà arrugginirsi o potremo perdere i nostri cacciavite e i nostri metri per la strada.
Ma quali sono questi strumenti intellettuali che dobbiamo apprendere? Visto che non li possiamo andare a comprare al Leroy Merlin dobbiamo dedicare tempo e impegno in questo continuo processo che è la formazione del pensiero critico.
Dovremo quindi conoscere come funziona il nostro cervello, quali sono i nostri pregiudizi, imparare a porre le giuste domande, l’uso della logica, lo scetticismo, come raccogliere e usare le informazioni, considerare nuovi punti di vista mettendoci in discussione.
Inoltre sarà anche raccomandabile imparare ad utilizzarli questi attrezzi: così come non serve a nulla un martello se non lo sappiamo usare, è inutile sapere a memoria le categorie logiche, i bias e le euristiche ma non saperle riconoscere quando le abbiamo davanti.
Io spero che ognuno possa fabbricarsi la sua cassetta del pensiero critico, pian piano ma con costanza, in modo tale da avere una visione del mondo e di se stessi un po' più consapevole, riuscendo perciò a prendere decisioni che rispecchiano veramente noi stessi.
Per essere coscienti del nostro punto di vista e magari poterlo anche cambiare.
Per capire le motivazioni che stanno dietro ai nostri giudizi.
Per riuscire a pensare meglio e in modo più chiaro, limpido alle questioni del mondo reale.
Per fare scelte migliori per noi stessi, a cominciare dal non farsi ingannare dai facili claim commerciali di vari prodotti fino a riuscire a trovare davvero la nostra strada, quel percorso che ci potrà far sentire soddisfatti della nostra vita.
È una roba complessa? Sì, parecchio, ma non è impossibile perché nessuno nasce “imparato” e tutti dobbiamo apprendere queste skills e riuscire ad applicarle ai contesti di vita (dalla vita privata a quella professionale o scolastica).
Io credo che quelle del pensiero critico siano abilità fondamentali da possedere per vivere attivamente nel mondo.

Riferimenti per approfondire:
Cohen M. Critical thinking skills. John Wiley and sons, 2015

giovedì 4 giugno 2020

Nobelist gone wild

Tutti possiamo cadere preda di idee bizzarre, anche perché non possiamo essere competenti in tutte le discipline, specializzati in ogni cosa (a parte i tuttologi su Facebook, loro sanno sempre tutto).
Di conseguenza avremo sviluppato delle skills, delle competenze, che possono essere specifiche di quella disciplina e non trasferibili su altre.
Ad esempio le leggi della meccanica quantistica sono applicabili al mondo microscopico e nell'ambito della fisica, e le leggi delle scienze sociali al mondo dell'essere umano. Non si possono dire cose come "la particella sa di essere osservata e quindi si comporta in questo modo" oppure "due persone sono legate emotivamente perché hanno le particelle entangled" e cose del genere.
D'altro canto esistono anche competenze che possono essere trasferite in diverse discipline. Pensiamo ad esempio a Daniel Kahneman (così per prenderne uno a caso...) ovvero uno psicologo che ha ricevuto il Nobel in economia per i suoi studi che hanno avuto applicazioni fondamentali in questa disciplina.
Non mi risulta che Kahneman sia caduto preda del "Nobel disease", ovvero
"L'apparente tendenza di un sorprendente numero di vincitori di Premi Nobel nelle scienze di cadere preda di affermazioni estremamente dubbie." (In caso fatemi sapere...)
Ma cosa predispone delle persone con un'intelligenza sopra la media a compiere disastrosi errori nel pensiero critico?
Fondamentalmente possiamo trovare questi fattori:
  • Errori cognitivi: tutti li facciamo e spesso non ne siamo nemmeno consapevoli, siamo "ciechi alla nostra cecità"
  • Senso di onnipotenza e invulnerabilità
  • Narcisismo
  • Eccessiva apertura mentale
  • Il "guru complex" (di cui ho già parlato)
Da questo possiamo vedere come un alto livello di intelligenza non implichi necessariamente una sorta di immunità contro l'irrazionalità.
Inoltre il Premio Nobel non è certo un indicatore infallibile della brillantezza scientifica. Pensiamo a quante menti brillanti che, purtroppo, non hanno potuto ricevere questo riconoscimento.
Questa è una ragione in più per non affidarsi al principio di autorità: una affermazione non è vera solo perché viene detta da una persona illustre o autorevole.
Nella Scienza non conta il principio di autorità, ma i dati, i fatti, che vanno correttamente interpretati e scremati da tutti i bias.
Conosci la storia di Louis J. Ignarro?
Dopo aver conseguito un dottorato in psicofarmacologia all'Università del Minnesota, negli anni '70 scoprì un nuovo meccanismo di dilatazione dei vasi sanguigni che gli valse il Nobel nel 1998.
Pochi anni dopo fu assunto come consulente dall'azienda Herbalife (sì, proprio quella degli integratori e delle vendite piramidali).
Ignarro lavorò a un mix di aminoacidi, vitamine e antiossidanti che avrebbero dovuto combattere il colesterolo nei soggetti sedentari.
Fece degli studi in cui mise a confronto soggetti sedentari che ricevevano il mix (chiamato "Niteworks") con i soggetti che non assumevano il preparato.
In effetti il Niteworks era correlato a una minore incidenza di problemi coronarici alle arterie.
Un ottimo risultato, no?
No, perché i soggetti sperimentali erano...topi! Ignarro riferì che "What's good for mice is good for humans" (Evans, 2004).
Quindi, non solo estese in modo improprio i risultati ottenuti da topi sugli umani, ma pubblicò lo studio senza nemmeno dichiarare i suoi conflitti di interesse con l'azienda Herbalife.
Studi indipendenti successivi hanno dimostrato l'inefficacia del Niteworks sugli esseri umani.
Come abbiamo appena visto, siamo tutti umani e anche uno scienziato può essere un po' troppo innamorato delle sue idee e non considerare le evidenze empiriche che lo contraddicono.
Quindi, prima di credere alle dichiarazioni sulla memoria dell'acqua di Luc Montagnier o sull'AIDS di Kary Mullis solo perché sono premi Nobel, chiediamo le prove!


Per approfondire: Sternberg 2007-2020

venerdì 17 aprile 2020

Approcci allo studio delle decisioni

Ti sei mai chiesto come fa una persona a prendere una decisione di qualsiasi tipo? Ogni giorno noi prendiamo moltissime decisioni in merito a svariate cose riguardanti tutti gli ambiti della nostra vita: se accettare o meno quell'invito su Zoom, se fare o meno il follow back a quel tale che ha iniziato a seguirci su Instagram, se ordinare la pizza capricciosa o la bufalina, che nuova tariffa fare per il traffico Internet...
Insomma, siamo messi costantemente davanti a un bivio, ma sembra che, nonostante tutto, ce la caviamo bene no? Certo magari ogni tanto non faremo la scelta più soddisfacente per le nostre esigenze ma bene o male prendiamo decisioni rapide e che ci sembrano logiche.
Giudizi e decisioni sono stati ampiamente studiati da varie discipline, in particolare dall'economia, dalla psicologia, dalla filosofia, dalla matematica e dall'informatica e abbiamo infatti un approccio multi-disciplinare e trasversale a questo tema molto interessante.
Inizialmente si pensava che l'essere umano prendesse decisioni ed esprimesse giudizi seguendo un approccio logico-matematico, in linea con i principi della razionalità formale.
Ma, come ben sappiamo, non siamo tutti dei robot che seguono le leggi della logica formale, persino Sheldon Cooper che appare come la razionalità fatta persona, si affida ogni tanto a risorse che esulano da questo approccio freddo e utilitaristico.
Infatti un punto di vista di questo tipo (detto "approccio normativo") prende in considerazione le persone come se fossero degli individui idealizzati, costantemente coerenti con se stessi e senza vincoli di tempo e capacità.
Sappiamo che siamo tutt'altro che individui ideali di questo tipo, infatti esiste un secondo approccio ("approccio descrittivo") che tenta di elaborare dei modelli capaci di prevedere e spiegare il comportamento reale delle persone.
Ricercatori come Kahneman e Tversky hanno approfondito gli studi in questo campo osservando come gli individui molto spesso non fanno affidamento a un modo di decidere logio-razionale, ma utilizzano delle "scorciatoie", dette anche "euristiche" che molte volte funzionano benissimo per la nostra vita quotidiana.
(Di questo concetto ne ho parlato nelle storie in evidenza "Fast and Slow")
Un terzo approccio ai processi decisionali è quello detto "prescrittivo" che si propone di educare ed istruire le persone verso comportamenti che possano evitare o ridurre gli errori, tenedo conto delle loro limitazioni cognitive.
Quindi è una sorta di sintesi che cerca di avvicinare i primi due approcci: sappiamo che l'essere umano non segue sempre le leggi della logica formale e spesso prende decisioni che si basano su biases (errori) cognitivi ma possiamo sempre cercare di suggerire procedure e insegnare modalità per correggere e migliorare la sua strategia decisionale.

martedì 7 aprile 2020

L’ipnosi fa parte del nostro immaginario collettivo. Chi non ha mai visto in qualche film il classico ipnotizzatore con i baffi e lo sguardo penetrante che cercava di far cadere una persona in uno stato di trance ipnotica? Magari per farla saltellare su un piede oppure, nel caso di una spia, per compiere un omicidio.
È possibile obbligare una persona a compiere un’azione contro la sua volontà tramite induzione ipnotica?
Mi dispiace deludervi ma la risposta è no, quindi quando si vedono scene cinematografiche in cui un pendolo oscillante costringe una persona a farne fuori un’altra si tratta, appunto, di una scena da film.
Perché non è possibile? Ci sono diverse ragioni.
In primo luogo la trance indotta non è qualcosa di magico e misterioso ma è una suggestione auto-indotta in cui l’ipnotizzatore agisce solo come una guida.
In secondo luogo la persona si deve lasciar ipnotizzare, quindi guidare, dall’ipnotizzatore: nessuno può entrare in questo stato dissociato contro la sua volontà, deve collaborare attivamente nel processo.
In terzo luogo noi sperimentiamo quotidianamente questo stato, seppur in modalità e con gradi differenti. Non ci credi? Pensa a quando sei alla guida della tua auto per andare al lavoro, percorrendo la solita strada per cinque anni, che conosci come le tue tasche: ti è mai capitato di guidare senza accorgertene?
Mi spiego meglio: guidando pensi ad altro, magari anche in modo intenso e ad un certo punto ti rendi conto di essere arrivato a destinazione ignorando completamente un pezzo di strada! Non ne hai memoria perché non eri consapevole di star guidando!
Ma quindi l’ipnosi è solo un trucchetto da maghi o serve a qualcosa?
L’ipnosi, essendo un fenomeno naturale, un effetto delle nostre caratteristiche psicologiche e fisiologiche, può certamente essere utilizzato in modo costruttivo.
Ma bisogna andarci con i piedi di piombo e non affidarsi al primo ciarlatano che incontriamo che promette di “risvegliare le nostre energie nascoste” o di “guarirci con il potere della mente quantica”.
Questo strumento può essere utilizzato in modo terapeutico solo dai professionisti della salute competenti (psicoterapeuti) con un’adeguata formazione in merito. In questo modo la persona può essere aiutata a migliorare i suoi comportamenti patologici.

Per approfondire:
Nardone G., Loriedo C., Zeig J., Watzlawick P. Ipnosi e terapie ipnotiche. Editore Ponte alle Grazie, 2006.

lunedì 2 marzo 2020

Le nostre peggiori paure

Stai dormendo e un rumore improvviso ti fa svegliare. Apri gli occhi e ti ritrovi con mani e piedi legati intorno ad una sedia, la bocca sigillata con del nastro adesivo.
Alla tua destra vedi dei bisturi chirurgici, una motosega e un panno sporco di sangue in terra.
Volgi lo sguardo a sinistra e su un tavolo di acciaio ci sono una fila di siringhe, dei beker con sostanze colorate e alcune provette con dei simboli che rappresentano un pericolo biologico.
Un uomo con una tuta bianca e una mascherina si sta dirigendo verso di te con qualcosa in mano.
Sei atterrito.
Bloccato, non puoi fuggire e il contesto in cui ti trovi ti fa pensare che subirai parecchio dolore e probabilmente verrai contagiato con qualcosa di orribile.

In una sola scena abbiamo condensato le tre declinazioni della paura umana:
il dolore, la prigionia e la contaminazione.
Queste paure, benché talvolta giustificate, vengono abilmente sfruttate dai mass media per aumentare l'audience, nonché da quei personaggi che sfruttano il terrore per seminare caos e distruzione.
In questo contesto, le parole sono molto importanti: possiamo descrivere un oggetto, una situazione in molti modi diversi, i quali evocheranno emozioni altrettanto differenti.
Pensiamo, ad esempio, ad un intervento chirurgico per togliere un organo. 
Se la descrizione verrà fatta con un linguaggio tecnico-specialistico relativo alla chirurgia potrà sembrare qualcosa di neutro.
Invece, se provassimo ad empatizzare con il paziente e a descrivere l'intervento dal suo punto di vista, le emozioni evocate saranno assai diverse.
La paura è un'emozione fondamentale, ci ha permesso di non finire in pasto ai leoni e giù da alti dirupi.
Oggi, però alcune paure sono sfruttate per scopi non proprio nobili.
Le paure legate alla prigionia e al dolore fisico sono facilmente comprensibili da tutti, ma la contaminazione è qualcosa di più sottile e che si manifesta in molti modi.
Pensiamo alla chemofobia (la paura della chimica): tutte quelle scritte sul cibo come "non contiene additivi chimici" o "di provenienza naturale" ci tranquillizzano anche se, razionalmente, non sappiamo definire con precisione di cosa dovremmo avere paura, né in che dosi si possano manifestare degli effetti negativi sulla nostra salute.
Se leggessimo "aggiunta di acido ascorbico" ad un prodotto lo considereremmo dannoso?
E se invece ci fosse un'aggiunta di "vitamina C"?
In realtà si tratta della stessa molecola ma nel primo caso vengono evocate paure legate alla "contaminazione" e all'artificialità del prodotto, invece la "vitamina C" ci fa pensare alle arance, al sole e al benessere.
Due modi diversi per descrivere la stessa cosa.
La molecola in causa, infatti, è identica sia che la produciamo in laboratorio sia che la estraiamo dalle arance.
È una affermazione molto controintuitiva, perché spesso pensiamo che le sostanze siano diverse se diversa è la loro origine, ma questo è un pregiudizio fondato appunto sulla nostra paura della "chimica" perché evoca immagini legate all'inquinamento e perciò alla paura della contaminazione.
Certamente bisogna stare attenti ad ogni possibile pericolo e fare di tutto per limitare ogni danno alle persone e all'ambiente in generale, ma talvolta si sfiorano scenari assurdi.
Ad esempio non c'è ragione di preferire un insaccato a cui sono stati aggiunti nitriti di origine "naturale" a nitriti "artificiali": le molecole sono uguali, e lo scopo conservante è il medesimo. Semmai si rende necessario il consumo limitato di carni conservate, secondo le indicazione dell'O.M.S.
Dobbiamo ricordare che la chimica è solo chimica, non le si possono attribuire caratteristiche di tipo etico.
Non esiste una "chimica buona" fatta di prodotti non nocivi, adatti all'agricoltura biologica, biodegradabili a cui si oppone una "chimica cattiva" che inquina l'ambiente, i terreni e nuoce a persone e ad animali.
È semplicemente una scienza che produce strumenti e conoscenze: sta a noi decidere in che modi e per che scopi utilizzarla.
I problemi derivano, semmai, dall'uso scorretto che se ne può fare.
Il monossido di diidrogeno (detto anche volgarmente "acqua") è una sostanza chimica che può essere usata sia per salvare la vita alle persone disidratate sia per ucciderle riempiendogli i polmoni tramite affogamento.
Dovremmo bandire l'acqua?
Un'altra paura, comune ma immotivata, è quella legata al consumo di prodotti geneticamente modificati.
Questi vegetali evocano subito immagini abominevoli, disgustose, che derivano anch'esse dalla paura della contaminazione.
A questa concezione è legato anche un punto di vista figlio del pensiero platonico occidentale caratterizzato da una prospettiva essenzialista del mondo, per cui pensiamo alle cose come dotate di una loro essenza intrinseca.
Mi spiego meglio: cosa rende un cavallo degno della classificazione come "cavallo"?
Quattro zampe, il nitrito, la criniera?
Un cavallo che ha subìto l'amputazione di una zampa non è più un cavallo?
Possiamo definirlo tale se possiede quindi una sua essenza personale, una sorta di "cavallinità" che lo classifica come equino.
Allo stesso modo definiamo una fragola un frutto dotato di una sua essenza personale di "fragolinità".
Modificando il genoma del vegetale ci sembra, in questo modo, di provocare il mutamento artificiale della sua "essenza" e fare questa operazione ci appare un atto contro natura e/o contro dio.
Ma la realtà è un po' differente e, indovinate, complessa.
Per prima cosa: l'uomo ha da sempre fatto una selezione artificiale delle piante (ma anche degli animali) che riteneva i migliori per i suoi scopi (specie più resistenti, produttive, dolci e saporite...) solo che la tecnologia del passato non permetteva cambiamenti veloci e precisi come oggi, che è sempre selezione artificiale ma con mezzi più sofisticati.
Il mais che conosciamo oggi, non è sempre esistito, ma è stato selezionato dall'uomo durante la storia, a partire da una specie di piccola bacca rossastra con qualche chicco.
Seconda cosa: non esiste nessuna "essenza" primigenia delle cose, questa visione deriva da un pensiero dualistico che divide il mondo in materia e spirito, corpo e mente, rifiutando una concezione unitaria per cui tutto è fatto della stessa materia.
Pensare l'esistenza di una mente separata dal corpo, che possa vivere indipendente da esso è alla base di molti fraintendimenti ed è ampiamente sconfermata da innumerevoli ricerche nell'ambito delle neuroscienze. (Un giorno parlerò anche di Damasio).
Quindi, dobbiamo aver paura della paura?
No, solamente saper distinguere le paure necessarie e funzionali da quelle immotivate.
Dobbiamo aver paura di una macchina che ci sfreccia accanto a tutta velocità? Sì, perché questa paura ci permette di reagire adeguatamente ed evitare il pericolo.
Dobbiamo aver paura del mais g.m.? Perché?
Poniamoci domande, cerchiamo informazioni affidabili, rintracciamo le fonti e restiamo scettici di fronte a chi "le spara un po' troppo grosse".

Bibliografia per approfondire:
Fuso S., "Naturale=buono?"
Rosling H. "Factfulness"
Bressanini D., Mautino B. "Contronatura"

venerdì 7 febbraio 2020

Siamo piccioni superstiziosi?

Lo sai che i piccioni sono degli animali superstiziosi?
Lo psicologo comportamentista Skinner ha fatto un esperimento.
In una gabbia ha predisposto una levetta che, abbassandola, avrebbe aperto una finestrella per un breve periodo in prossimità della quale si trovava del cibo.
Il piccione apprende velocemente il meccanismo: preme con il becco la leva e ottiene una ricompensa, insomma il classico condizionamento.
Invece, se togliamo la levetta e colleghiamo l'apertura della finestrella del cibo a un meccanismo che la apre ad intervalli di tempo del tutto casuali, l'animale inizia a comportarsi in modo curioso.
Questo collega eventi molto vicini temporalmente e vedere l'uno come causa dell'altro, creando dei nessi causali che però non esistono perchè l'apertura della finestrella è, abbiamo visto, del tutto casuale: Skinner lo chiama "condizionamento operante".
Facciamo un esempio: il piccione stava becchettando l'ala quando, immediatamente dopo, la finestrella si apre.
Il rilascio di cibo avviene anche altre volte dopo che l'animale ha eseguito questo tipo di comportamento e così inizia a "pensare" che il becchettamento dell'ala causi l'apertura della finestrella e continua a ripetere questo comportamento finchè ottiene ancora il cibo.
Il piccione ha perciò creato un nesso di causalità tra eventi che sono però del tutto casuali e il rilascio di cibo avviene indipendentemente dal fatto che l'animale compia o meno questo specifico comportamento.
Si è quindi creato un meccanismo legato alla ritualità e alla superstizione che esiste anche negli esseri umani, sebbene in misura minore e maggiormente consapevole.
La mattina del giorno in cui dobbiamo sostenere un esame importante usciamo di casa indossando quel particolare paio di calzini perchè abbiamo notato che l'ultima volta che li abbiamo messi l'esame ci è andato molto bene nonostante non fossimo particolarmente preparati: indossare quei calzini potrebbe far aumentare la nostra dose di fortuna.
A conferma del fatto che anche gli esseri umani manifestano comportamenti superstiziosi, c'è stato un esperimento all'Università di Tokio in cui degli studenti furono rinchiusi in stanze singole con tre leve e un contatore collegato ad un computer: il compito era quello di cercare di guadagnare più punti possibili (senza sapere come fare) tenendo d'occhio il contatore che faceva scattare il punteggio.
Ovviamente c'era un trucchetto: i punti aumentavano secondo ritmi totalmente casuali e nulla avrebbe potuto far mutare questo.
Alcuni studenti, premendo le leve e osservando i risultati, capirono presto la completa casualità dell'esperimento ma altri si comportarono proprio come il piccione di Skinner e iniziavano a manifestare comportamenti quali: battere sui muri, arrampicarsi sul tavolo, saltare ripetutamente... 
Questi ragazzi avevano creato dei legami di causalità che però esistevano solo nella loro testa.
E tu, pensi di essere consapevole delle tue superstizioni?

lunedì 3 febbraio 2020

Inventiamo una nuova pseudoscienza!

Oggi ti propongo un divertente esercizio di scrittura creativa.
Proviamo ad inventare una "teoria pseudoscientifica"! Lo so, sembra una cosa complicata ma non ti preoccupare, ti bastano solo pochi consigli, qualche ingrediente essenziale e un pizzico di magia.
Pronto? Cominciamo!
Allora per prima cosa dobbiamo ispirarci ad una o più discipline scientifiche: la medicina e la meccanica quantistica sono le più gettonate in questo periodo, ma sii creativo e attingi anche ad altri ambiti del sapere.
Tranquillo, non servono titoli di studio particolari o conoscenze dettagliate, non vogliamo certo fare i professoroni, ti basta aver sentito qualcosa di vago letto da qualche parte.
Bene, adesso prendi termini a caso da quella disciplina. Se hai scelto fisica, ad esempio, puoi optare per: campo, onda, vibrazione, entanglement, quantistico, frequenza...
Questa è la base per costruire un linguaggio che sembra scientifico ma che non lo è perché verrà usato a sproposito per dare un alone di scientificità a ipotesi assurde e sconclusionate.
Ora occupiamoci dei divertenti salti logici: fingiamo di essere un atleta di salto in alto e alleniamoci nel trarre conclusioni scorrette da premesse vere o verosimili, nella manipolazione dei dati, nella sottile arte di confondere correlazione con causalità.
Usare degli aneddoti è indispensabile per cercare di puntare sull'emotività delle persone: possiamo usare il classico "mio cuggino dalla Svizzera ha detto che..." oppure dare libero sfogo alla nostra fantasia.
Un'altra cosa importante è sapersi concentrare solo sulle fluttuazioni statistiche in modo tale da attribuire il merito del vostro acume a delle semplici casualità.
Se beviamo un centrifugato con frutta quantizzata ad alto peso molecolare e poi vinciamo 200 euro al gratta e vinci possiamo attribuire il merito della vincita all'ingestione di questa potente bevanda. Probabilmente è solo una correlazione casuale ma noi dobbiamo fare in modo che sembri la normale  e prevedibile conseguenza del bere lo speciale centrifugato.
Infine, un uso sapiente del bias da conferma: elencate solo le ricerche che confermano la vostra ipotesi, ignorando le altre o dicendo che le altre sono state finanziate da personaggi immorali, alieni che vogliono condizionare la nostra mente, scienziati pakati, multinazionali, rettiliani, illuminati, terrapiattisti...
Un bel suggerimento è quello di appellarsi al principio di autorità per dimostrare qualcosa, insomma il classico "siccome l'ha detto il dottor Tizio, allora questa cosa è vera". Attenzione, la Scienza non considera il principio di autorità, ma noi siamo nel regno della pseudoscienza, quindi via libera a premi Nobel che hanno poi sbroccato, medici radiati dall'albo, maghi, ciarlatani che vanno in televisione con gli occhiali e i capelli lunghi...
Infine, abbondare pure con le impressioni personali, confondendo i dati con le opinioni, le statistiche con le congetture.
Insomma, l'ideale è fare un bel mischiotto di tutto per tirare fuori qualcosa di evocativo, impressionante e innovativo.
Allora, vi è venuta qualche idea?
Mi raccomando, fatemi sapere in direct o nei commenti. 


Disclaimer: si tratta, ovviamente, di una provocazione che però invita a riflettere circa il proliferare di strambe "teorie" di interpretazione del mondo e sul come fare a riconoscerle. Sul perché succede questo ne parlerò in un altro post.

sabato 1 febbraio 2020

Ma è solo una teoria!

Spesso si sente dire "la teoria dell'evoluzione è solo una teoria, quindi non ci sono prove a sostegno" dando quindi l'impressione che questa sia solo un insieme di congetture, ipotesi, pensieri che non abbiano effettivo riscontro fattuale. 
Vediamo invece perché non è così.
La colpa è dovuta principalmente al fraintendimento della parola "teoria". Nel linguaggio scientifico assume un significato diverso da quello che caratterizza il parlato quotidiano.
Il termine "campo", ad esempio, assume un significato diverso quando di parla di elettromagnetismo o dell'ambito di applicazione di una certa disciplina ("la biologia è il mio campo") o di calcio.
Dunque le parole vado prese all'interno del contesto di riferimento in cui vengono usate.
Perciò, cosa significa "teoria" nel gergo scientifico? Cosa è una "teoria scientifica"?
Sostanzialmente si tratta di un sistema coerente ed esplicativo di un certo gruppo di fenomeni e che è in grado di fare previsioni con una certa accuratezza.
Deve inoltre essere anche falsificabile, cioè deve poter essere confutata da nuovi studi o da esperimenti più precisi. 
Quando nel linguaggio comune si dice "ho la mia teoria su questa vicenda" beh non stiamo certamente parlando di una teoria scientifica, perché qui il termine è usato in sostituzione di "opinione", ovvero è qualcosa di soggettivo e aneddotico, caratteristiche che non appartengono alla Scienza.
Il metodo scientifico, infatti, si pone nell'ottica di eliminare tutto ciò che appartiene alla sfera del personale, dell'opinione, dell'aneddotico, delle prime impressioni, dei pregiudizi e delle credenze pregresse.
Certamente, essendo gli scienziati degli esseri umani e non delle divinità che vivono sul monte Olimpo, succede che qualcuno si innamori un po' troppo delle sue convinzioni personali e perda il contatto con la realtà fattuale, causando anche dei danni notevoli oltre alla diffusione di falsità.
Però esiste la comunità scientifica in cui ognuno vigila sull'operato dei colleghi, non insabbiando eventuali errori ma portandoli alla luce perché lo scopo è anche una sana competizione affinché ognuno dimostri il meglio di sé. Nulla di più lontano da una religione che vuole auto-perpetuarsi e che "paka" il silenzio di chi vi appartiene.


Recentemente ho appreso la vicenda di Michael Holick che perse la cattedra all'Università di Boston perché, innamorato troppo della sua convinzione sulla carenza di vitamina D, perse il contatto con i fatti e con la realtà, arrivando a causare dei danni seri e irreversibili. (Per approfondire rimando alle pagine 199-224 dell'ultimo libro di Beatrice Mautino "La scienza nascosta dei cosmetici").

venerdì 31 gennaio 2020

Tra fisica, psicologia e spiritualità.

Alla fine del 1930 il fisico W. Pauli, (sì, quello del principio di esclusione) sconvolto dal suicidio della madre e reduce dal fallimento del suo matrimonio, cade in una grave depressione e inizia ad abusare di alcol.
Su consiglio del padre decide di farsi curare "da uno bravo", ovvero Carl Gustav Jung.
Lo psicanalista resta colpito dalla sua personalità e tra i due inizia uno scambio epistolare.
Il fisico inizia a interessarsi al mondo onirico e psicologico e cerca di interpretare i suoi sogni.
Nel libro "Psiche e natura" di W. Pauli troviamo dei parallelismi tra la psicologia e la fisica, oltre ad un'analisi della storia del pensiero scientifico attraverso un confronto tra il pensiero alchemico di Fludd e quello scientifico di Keplero.
Per l'alchimista era necessario conoscere i misteri alchemici (accessibili solo per pochi eletti) al fine di avere una comprensione completa dell'astronomia e della realtà. 
Aveva anche una forte avversione per il pensiero quantitativo, privilegiando quello qualitativo.
Il punto di vista di Keplero si pone diametralmente a questo, infatti Pauli lo descrive come un portatore di idee nuove, avendo un approccio matematico-quantitativo che caratterizza il pensiero scientifico.
Pauli ipotizza delle immagini archetipiche che avrebbero influito sulla formazione delle teorie scientifiche di Keplero, adottando un punto di vista legato alla teoria platonica della conoscenza.
Il processo di comprensione della Natura sarebbe basato sulla corrispondenza tra gli oggetti del mondo e le immagini preesistenti nella psiche, ovvero archetipiche.
Gli archetipi sarebbero dei ponti tra le percezioni sensoriali e le idee.
Secondo questo punto di vista esisterebbero dei principi matematici innati e delle idee preesistenti: la convinzione dell'eliocentrismo di Keplero lo avrebbe spinto a cercare le leggi dei moti planetari, espressioni della bellezza del creato.
Da un simbolo, un'idea si giunge alla scoperta della legge fisica.
Quello di Pauli è un modo per cercare di trovare un legame tra materia e la mente, tra la fisica e la psicologia, viste come aspetti complementari della stessa realtà.
Il fisico ha sempre mantenuto separato il suo pensiero più "filosofico" da quello fisico: nei suoi scritti di fisica è sempre stato preciso, rigoroso e austero.
Nonostante abbia ribadito il fatto che le leggi fisiche restano valide e non sono trasformabili in energie "spirituali", spesso viene citato a sproposito da "guru" e ciarlatani vari che usano gli scritti di Pauli per giustificare cose assurde e ipotesi pseudoscientifiche.

lunedì 20 gennaio 2020

Vedo volti ovunque!

La pareidolia è, in parole povere, la tendenza che abbiamo a vedere delle forme familiari, soprattutto volti umani, in immagini caotiche o disordinate.
Ci portano il cappuccino al bar e noi vediamo degli occhi e una bocca fatti con il caffè sulla schiuma di latte. 
Oppure tostiamo una fetta di pane e la parte più scura ci sembra il volto della Madonna.
Si pensa che questa tendenza sia stata favorita dall'evoluzione perché permetteva di riconoscere possibili predatori da pochi tratti comuni.


La pareidolia può essere anche acustica. Se non conosciamo l'inglese possiamo ascoltare una canzone dei Queen o degli AC/DC e riconoscere delle parole o delle frasi che ci sembrano in italiano, appunto perché proiettiamo  la struttura della lingua che conosciamo su una serie di fonemi che ci sembrano senza senso perché siamo delle schiappe assolute in inglese.

venerdì 3 gennaio 2020

Come ti demolisco l'astrologo di fiducia.

Conosci i "test di personalità"?
Se ti sottoponessi un test di personalità e ti chiedessi di valutare quanto ti rispecchia il risultato ottenuto, probabilmente diresti...molto!
Nel 1948 lo psicologo B.R. Forer consegna ai suoi alunni un test di personalità e poi restituisce una valutazione in base alle risposte date.
Successivamente chiede agli alunni di dire, tra una scala da 0 a 5, quanto il test ci abbia "azzeccato" secondo loro.
Sorprendentemente la media dei voti era alta, pari a 4,6.
Bene, significa che il test era affidabilissimo?
Tutt'altro!
Infatti alla fine lo psicologo rivela la verità: ha consegnato lo stesso risultato a tutti e ognuno sosteneva che quella fosse davvero la sua tipologia di personalità.
Come è possibile?
Proprio grazie all'effetto Forer, ovvero dare delle descrizioni molto generiche e talvolta contraddittorie che permettono a tutti di identificarsi con esse.
In particolare queste affermazioni erano:
«Hai molto bisogno che gli altri ti apprezzino e ti stimino eppure hai una tendenza a essere critico nei confronti di te stesso. Pur avendo alcune debolezze nel carattere, sei generalmente in grado di porvi rimedio. Hai molte capacità inutilizzate che non hai volto a tuo vantaggio. Disciplinato e controllato all'esterno, tendi a essere preoccupato e insicuro dentro di te. A volte dubiti seriamente di aver preso la giusta decisione o di aver fatto la cosa giusta. Preferisci una certa dose di cambiamento e varietà e ti senti insoddisfatto se obbligato a restrizioni e limitazioni. Ti vanti di essere indipendente nelle tue idee e di non accettare le opinioni degli altri senza una prova che ti soddisfi. Ma hai scoperto che è imprudente essere troppo sinceri nel rivelarsi agli altri. A volte sei estroverso, affabile, socievole, mentre altre volte sei introverso, diffidente e riservato. Alcune delle tue aspirazioni tendono a essere davvero irrealistiche.»
E quindi?
Noi non siamo in grado di auto-valutarci perché abbiamo bias e credenze di cui non siamo consapevoli. Spesso vogliamo credere di avere una qualità positiva solo per aumentare la nostra autostima o per compiacere altre persone, oppure appunto per confermare le teorie in cui crediamo, per l'influenza del confirmation bias.
Inoltre, questo effetto è sfruttato dagli astrologi per fare le previsioni dell'oroscopo, ma anche da "guru", cialtroni, maghi per convincerti della fondatezza delle loro pseudodiagnosi.
Ad esempio possono dire di poter "percepire" la tua aurea e in base a vibrazioni o colori, dirti la tua personalità, capire davvero chi sei.
Comprendere realmente noi stessi, avere una direzione giusta da percorrere è ambizione di ognuno. Chi non vorrebbe aver già capito tutto di se stesso? 
Queste persone che ci "diagnosticano" la nostra identità ci danno un senso di conforto, di sicurezza e ci tolgono il dovere e la fatica di interrogarci quotidianamente su noi stessi e sulle nostre scelte di vita.


Infine tendono a de-responsabilizzarci perché non siamo noi che decidiamo cosa fare, ma è una terza persona che ce lo dice.