lunedì 18 dicembre 2017

Vegani, tra paure e senso di colpa

Piccola riflessione personale.
La vita dei vegani si configura come una pretesa di basare la loro esistenza su un approccio definito cruelty-free, ovvero senza crudeltà nei confronti degli animali.
Per vivere in questo modo si ritiene necessario acquistare solo alimenti, cosmetici e accessori con il marchio "Vegan". (E qui non mi pronuncio sul fatto che il marketing faccia un ottimo lavoro di vendita.)
Mi sembra che chi scelga questo tipo di filosofia di vita, questo stile alimentare sia mosso essenzialmente da alcune ragioni.
Escludo a priori il fine salutistico-dimagrante, perché non è stato dimostrato che una dieta vegana favorisca la salute o un basso peso corporeo (le correlazioni sono dovute più che altro al fatto che i vegani hanno in genere uno stile di vita più salutare) e rimando a professionisti qualificati la discussione di questo punto.
Quello che mi sembra emergere è un misto di rabbia, sensi di colpa e frustrazione che sono indirizzati verso un obiettivo preciso: la dieta onnivora (e spesso verso anche gli onnivori stessi).
"Purificando" il proprio corpo da ogni elemento derivante dallo sfruttamento animale ci si sente "purificati" anche nello spirito (o meglio, nella coscienza). Mi sembra quasi una sorta di stile di vita catartico che permetta di convivere o di accantonare i propri sensi di colpa, di qualunque natura e genere essi siano, per sviluppare e mostrare al mondo e a se stessi la propria superiorità morale, data appunto dalla rinuncia consapevole ai "piaceri della carne (e del latte, del pesce, delle uova...).
Quindi anche quando vien detto loro che la loro dieta è incompleta, troppo restrittiva entra in azione in loro bias da conferma che fortificherà il loro punto di vista, per mantenere intatto il delicato equilibrio tra sé e l'ambiente.

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