Viviamo in un mondo sempre più interconnesso, siamo immersi
in un contesto sociale e culturale in cui diventa davvero fondamentale lo
sviluppo di un pensiero critico, per mettere sempre in discussione quello che
ci sembra scontato. Insomma, circondati come siamo da claim, marketing, eccesso
di informazioni, fake news, bufalari, aspiranti dominatori del mondo et
similia, abbiamo bisogno più che mai di un po' di sano scetticismo (e anche di
un po' di sana autoironia, data la cospicua presenza sul web di musoni sempre
all’attacco, ma questo è un altro discorso).
E chi meglio del metodo scientifico accompagnato dallo
sviluppo di un pensiero critico e non auto-confermante può aiutarci in questo
processo senza fine? Già, perché quello della continua messa in discussione
delle nostre credenze e dell’approfondimento della comprensione del mondo in
cui viviamo è un processo infinito, non esiste una meta in cui saremo sicuri di
sapere tutto (anzi, probabilmente sarà il momento di maggiore sbaglio) perché
“più cose scopriamo e più domande ci facciamo” per citare Rick Dufer.
Dunque, se davvero il nostro obiettivo è quello di
migliorare noi stessi e magari incoraggiare le persone a noi vicine a fare
altrettanto, personalmente credo che seguire e approfondire più discipline,
parlare con persone differenti, aprirsi al mondo e a nuove opportunità
conoscitive con vari mezzi (non solo libri ma anche film, serie tv, podcast,
video…) possa essere una delle strategie per essere un pochino più curiosi del
mondo e di noi stessi.
Inoltre oggi è fondamentale creare un “ponte” tra la
comunità scientifica e le persone “comuni” per varie ragioni.
In primo luogo, per quanto riguarda la ricerca finanziata
con i soldi pubblici, è auspicabile che le persone vengano informate sulle
modalità e gli scopi per cui i finanziamenti statali siano utilizzati, in modo
tale da ricevere una sorta di “restituzione” da parte dei ricercatori.
In secondo luogo informare in modo corretto ed esaustivo le
persone sulla ricerca scientifica in corso penso che possa aiutare a prevenire
eventuali episodi di ribellione e tentativi di elaborare varie “teorie del
complotto” del genere “non cielo dikono” perché chissà che cose strane e
malvagie si celano nei laboratori o chissà che scoperte sensazionali sono state
fatte ma la malvagia lobby (peraltro inesistente) di una non meglio precisata
Comunità Scientifica vuole insabbiare per tornaconto personale. Episodi di
questo genere si sono già verificati e i mass media hanno amplificato il
fenomeno per catturare l’attenzione e l’audience. Ecco, spesso esiste questa
visione dello “scienziato pazzo, sadico e malvagio” probabilmente ereditata
dall’immaginario di Frankenstein in cui il perfido dottore voleva andare contro
le leggi di Dio e della Natura creando la vita da dei cadaveri.
In passato vi erano ovviamente meno controlli nella ricerca
scientifica, si faceva tutto un po' così, senza norme precise in materia di
etica o di sicurezza. E infatti ci sono state sicuramente conseguenze negative,
ma da qualche tempo a oggi la situazione è cambiata: sono stati istituiti
comitati etici e stringenti norme in materia di sicurezza per cui la ricerca è
fatta secondo il principio di precauzione. E questo è stato un vero traguardo
nella ricerca per renderla il più equa e sicura possibile, cosa che purtroppo
non accade in altri posti fuori dall’UE. (in Cina e in altri paesi le regole
sono differenti e le tutele sono minori)
Molti scenari
caratterizzati da una forte carica emotiva restano a lungo nella memoria collettiva
e culturale, pensiamo ad esempio in tempi più recenti all’orribile mondo degli
organismi geneticamente modificati: fragole che sanno di pesce, pomodori che
contengono antigelo, ortaggi giganti e creature strane che domineranno il mondo
se non verranno controllate. Faccio davvero fatica a trovare persone senza
competenze in materia di biotecnologie che posseggano informazioni anche solo
lontanamente vicine alla verità su questi OGM.
Divulgare il metodo scientifico, le metodologie utilizzate,
la presenza costante di comitati etici e di sicurezza a controllo della ricerca
diventa fondamentale in un mondo in cui le fake news e la “misinformation”
dominano spesso le discussioni. Certamente esisteranno complotti, sicuramente
ci sono in gioco degli interessi economici di un certo livello ma il mondo è
molto più complesso di come si possa credere, esistono varie sfumature di
grigio ed è difficile che un complotto non venga prima o poi a galla.
Divulgare significa anche creare delle occasioni di dubbi,
in cui la persona capisce di non aver capito, quindi potrebbe essere spinta ad
approfondire l’argomento, se sufficientemente interessata. Oppure, nel caso di
ragazzi giovani, potrebbe far nascere in loro la passione per un determinato
ambito scientifico o umanistico e potrà indirizzarli meglio in merito alle loro
scelte universitarie e professionali.
Se diamo un occhio ai social network (Facebook, Instagram,
You Tube, Telegram…) ci rendiamo conto che la gente vuole sapere, ha bisogno di
trovare un significato a ciò che gli accade, ma ha anche la necessità che
questo gli venga spiegato non con un linguaggio tecnico e specialistico ma più
vicino alla narrazione.
E questo lo sanno benissimo i costruttori di teorie
pseudoscientifiche e alternative: per un non addetto ai lavori trovarsi davanti
una risma di studi scientifici in inglese che non si sa seppure leggere o
interpretare correttamente è estremamente meno interessante e coinvolgente di
una singola narrazione, carica emotivamente, che “spiega” tutto in poche frasi
apparentemente coerenti.
Ed è così che è facilissimo assomigliare al memabile pikachu
sorpreso quando sembra che il guru di turno abbia fatto la scoperta del secolo,
basandosi su dati magari corretti ma stravolgendone il senso o scambiando la
correlazione per la causalità. Insomma, è come decorare con la ghiaccia reale
colorata una torta a tre piani fatta di polistirolo: esteticamente è
meravigliosa, colpisce l’occhio ma non provarci nemmeno a tagliarne una fetta o
l’illusione sparirebbe in un lampo di amarezza, lasciandoci la bocca asciutta e
la delusione di chi è stato ingannato.
Quindi, ripeto, la divulgazione oggi, in tutti i campi del
sapere, è necessaria più che mai, soprattutto per renderci consapevoli che
tutti, scienziati compresi (ecco perché esistono cose carine come la peer review o le revisioni sistematiche:
un solo studio non significa nulla, deve essere replicato e confermato o
confutato e criticato da altri studi di altri ricercatori) siamo suscettibili
di fare errori, di cadere nei bias e nelle illusioni cognitive, perché il
nostro punto di vista è parziale e determinato dalle nostre esperienze e dai
nostri modi di pensare e di vedere la realtà.
Rendersi conto di quanto poco sappiamo e di quanto siamo
limitati può contribuire a invogliarci ad approfondire, a non credere
acriticamente al primo ciarlatano, anche se le sue “argomentazioni” sembrano
avere senso ma non esistono delle prove valide a sostegno.
Un bravo divulgatore dovrebbe utilizzare un linguaggio
comprensibile e sfruttare anche la carica emotiva trasmessa dalla sua personale
passione verso la disciplina al fine di fornire gli strumenti (come il pensiero
critico, lo scetticismo…) alle persone affinché queste acquisiscano le capacità
per cercarsi da soli le risposte alle loro domande, conoscendo sempre un
pochino meglio il mondo circostante e loro stesse.
In questa accezione il soggetto è visto come un soggetto
attivo, capace di un deutero apprendimento per citare Bateson, non come un
passivo fruitore di contenuti da memorizzare per aumentare la propria
erudizione personale.
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