giovedì 4 giugno 2020

Nobelist gone wild

Tutti possiamo cadere preda di idee bizzarre, anche perché non possiamo essere competenti in tutte le discipline, specializzati in ogni cosa (a parte i tuttologi su Facebook, loro sanno sempre tutto).
Di conseguenza avremo sviluppato delle skills, delle competenze, che possono essere specifiche di quella disciplina e non trasferibili su altre.
Ad esempio le leggi della meccanica quantistica sono applicabili al mondo microscopico e nell'ambito della fisica, e le leggi delle scienze sociali al mondo dell'essere umano. Non si possono dire cose come "la particella sa di essere osservata e quindi si comporta in questo modo" oppure "due persone sono legate emotivamente perché hanno le particelle entangled" e cose del genere.
D'altro canto esistono anche competenze che possono essere trasferite in diverse discipline. Pensiamo ad esempio a Daniel Kahneman (così per prenderne uno a caso...) ovvero uno psicologo che ha ricevuto il Nobel in economia per i suoi studi che hanno avuto applicazioni fondamentali in questa disciplina.
Non mi risulta che Kahneman sia caduto preda del "Nobel disease", ovvero
"L'apparente tendenza di un sorprendente numero di vincitori di Premi Nobel nelle scienze di cadere preda di affermazioni estremamente dubbie." (In caso fatemi sapere...)
Ma cosa predispone delle persone con un'intelligenza sopra la media a compiere disastrosi errori nel pensiero critico?
Fondamentalmente possiamo trovare questi fattori:
  • Errori cognitivi: tutti li facciamo e spesso non ne siamo nemmeno consapevoli, siamo "ciechi alla nostra cecità"
  • Senso di onnipotenza e invulnerabilità
  • Narcisismo
  • Eccessiva apertura mentale
  • Il "guru complex" (di cui ho già parlato)
Da questo possiamo vedere come un alto livello di intelligenza non implichi necessariamente una sorta di immunità contro l'irrazionalità.
Inoltre il Premio Nobel non è certo un indicatore infallibile della brillantezza scientifica. Pensiamo a quante menti brillanti che, purtroppo, non hanno potuto ricevere questo riconoscimento.
Questa è una ragione in più per non affidarsi al principio di autorità: una affermazione non è vera solo perché viene detta da una persona illustre o autorevole.
Nella Scienza non conta il principio di autorità, ma i dati, i fatti, che vanno correttamente interpretati e scremati da tutti i bias.
Conosci la storia di Louis J. Ignarro?
Dopo aver conseguito un dottorato in psicofarmacologia all'Università del Minnesota, negli anni '70 scoprì un nuovo meccanismo di dilatazione dei vasi sanguigni che gli valse il Nobel nel 1998.
Pochi anni dopo fu assunto come consulente dall'azienda Herbalife (sì, proprio quella degli integratori e delle vendite piramidali).
Ignarro lavorò a un mix di aminoacidi, vitamine e antiossidanti che avrebbero dovuto combattere il colesterolo nei soggetti sedentari.
Fece degli studi in cui mise a confronto soggetti sedentari che ricevevano il mix (chiamato "Niteworks") con i soggetti che non assumevano il preparato.
In effetti il Niteworks era correlato a una minore incidenza di problemi coronarici alle arterie.
Un ottimo risultato, no?
No, perché i soggetti sperimentali erano...topi! Ignarro riferì che "What's good for mice is good for humans" (Evans, 2004).
Quindi, non solo estese in modo improprio i risultati ottenuti da topi sugli umani, ma pubblicò lo studio senza nemmeno dichiarare i suoi conflitti di interesse con l'azienda Herbalife.
Studi indipendenti successivi hanno dimostrato l'inefficacia del Niteworks sugli esseri umani.
Come abbiamo appena visto, siamo tutti umani e anche uno scienziato può essere un po' troppo innamorato delle sue idee e non considerare le evidenze empiriche che lo contraddicono.
Quindi, prima di credere alle dichiarazioni sulla memoria dell'acqua di Luc Montagnier o sull'AIDS di Kary Mullis solo perché sono premi Nobel, chiediamo le prove!


Per approfondire: Sternberg 2007-2020

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