lunedì 20 agosto 2018

Paure e responsabilità

Osservando il mondo che ci circonda ho l'impressione di cogliere una tendenza a isolarci sempre di più, sta crescendo la diffidenza nei confronti dell' Altro.
L' alterità con le sue esperienze e i suoi valori lo troviamo spesso incomprensibile e ne abbiamo paura perché non lo conosciamo e questo timore genera rabbia e chiusura.
Nel mondo globalizzato di oggi riuscire a darsi un'identità può essere assai difficile.
Insomma, un tempo ci si riconosceva tranquillamente come "la moglie dell'idraulico", "il figlio del dottore", "la sorella del prete" e ognuno aveva già predisposto il suo futuro alla nascita, o comunque c'erano precise aspettative in merito.
Da una bambina ci si aspettava che aiutasse in casa la madre e una volta ragazza si sposasse con un uomo preferibilmente di classe sociale più agiata, sfornasse figli uno dietro l'altro, sperando che più della metà potesse arrivare all'età adulta, e passasse la vita a prendersi cura di casa, marito e figli.
Allo stesso modo un bambino era destinato a fare il lavoro del padre o a studiare per migliorare la situazione socio-economica della famiglia, per poi sposarsi e avere degli eredi.
Oggi non è più così, nel giro di un paio di generazioni la nostra società occidentale è cambiata moltissimo e la perdita di punti di riferimento e valori che un tempo erano considerati eterni è stata inevitabile.
Principalmente vedo due opposti schieramenti (riempiti da una scala di grigi intermedi).
Da un lato un nostalgico ritorno ad un passato idilliaco, puro, ordinato, dove la donna aveva il suo ruolo e l'uomo il suo: uno scenario piuttosto statico e conservatore che lascia poco spazio al confronto con la diversità e con il cambiamento.
Dall'altro vedo nuovi punti di vista, persone di tutte le età che vogliono continuare ad aprirsi al mondo, a nuovi orizzonti e possibilità, ben consapevoli del fatto che il nuovo è anche fonte di paure, insicurezze, a volte anche di fallimenti.
Questa seconda visione comporta una maggiore e faticosa presa di responsabilità dell'individuo, non più pre-determinato e pre-destinato da leggi sociali e politiche sopra il suo controllo.
È facile avere chi ci ordina di fare qualcosa, se non ci piace possiamo sempre incolpare l'autorità, se non siamo in grado di riuscire nel compito assegnatoci può non essere colpa nostra e in ogni caso non abbiamo altra scelta.
Responsabilizzare l'individuo, porlo in un mondo aperto, libero di intraprendere la sua strada (nel limite del rispetto reciproco e dei propri mezzi, ovviamente) crea una fonte di ansia incredibile, una paura visibile e un senso di smarrimento che provocano la nascita di domande a cui spesso non si riesce a trovare una risposta.
Ma questo significa crescere, no?

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