lunedì 2 marzo 2020

Le nostre peggiori paure

Stai dormendo e un rumore improvviso ti fa svegliare. Apri gli occhi e ti ritrovi con mani e piedi legati intorno ad una sedia, la bocca sigillata con del nastro adesivo.
Alla tua destra vedi dei bisturi chirurgici, una motosega e un panno sporco di sangue in terra.
Volgi lo sguardo a sinistra e su un tavolo di acciaio ci sono una fila di siringhe, dei beker con sostanze colorate e alcune provette con dei simboli che rappresentano un pericolo biologico.
Un uomo con una tuta bianca e una mascherina si sta dirigendo verso di te con qualcosa in mano.
Sei atterrito.
Bloccato, non puoi fuggire e il contesto in cui ti trovi ti fa pensare che subirai parecchio dolore e probabilmente verrai contagiato con qualcosa di orribile.

In una sola scena abbiamo condensato le tre declinazioni della paura umana:
il dolore, la prigionia e la contaminazione.
Queste paure, benché talvolta giustificate, vengono abilmente sfruttate dai mass media per aumentare l'audience, nonché da quei personaggi che sfruttano il terrore per seminare caos e distruzione.
In questo contesto, le parole sono molto importanti: possiamo descrivere un oggetto, una situazione in molti modi diversi, i quali evocheranno emozioni altrettanto differenti.
Pensiamo, ad esempio, ad un intervento chirurgico per togliere un organo. 
Se la descrizione verrà fatta con un linguaggio tecnico-specialistico relativo alla chirurgia potrà sembrare qualcosa di neutro.
Invece, se provassimo ad empatizzare con il paziente e a descrivere l'intervento dal suo punto di vista, le emozioni evocate saranno assai diverse.
La paura è un'emozione fondamentale, ci ha permesso di non finire in pasto ai leoni e giù da alti dirupi.
Oggi, però alcune paure sono sfruttate per scopi non proprio nobili.
Le paure legate alla prigionia e al dolore fisico sono facilmente comprensibili da tutti, ma la contaminazione è qualcosa di più sottile e che si manifesta in molti modi.
Pensiamo alla chemofobia (la paura della chimica): tutte quelle scritte sul cibo come "non contiene additivi chimici" o "di provenienza naturale" ci tranquillizzano anche se, razionalmente, non sappiamo definire con precisione di cosa dovremmo avere paura, né in che dosi si possano manifestare degli effetti negativi sulla nostra salute.
Se leggessimo "aggiunta di acido ascorbico" ad un prodotto lo considereremmo dannoso?
E se invece ci fosse un'aggiunta di "vitamina C"?
In realtà si tratta della stessa molecola ma nel primo caso vengono evocate paure legate alla "contaminazione" e all'artificialità del prodotto, invece la "vitamina C" ci fa pensare alle arance, al sole e al benessere.
Due modi diversi per descrivere la stessa cosa.
La molecola in causa, infatti, è identica sia che la produciamo in laboratorio sia che la estraiamo dalle arance.
È una affermazione molto controintuitiva, perché spesso pensiamo che le sostanze siano diverse se diversa è la loro origine, ma questo è un pregiudizio fondato appunto sulla nostra paura della "chimica" perché evoca immagini legate all'inquinamento e perciò alla paura della contaminazione.
Certamente bisogna stare attenti ad ogni possibile pericolo e fare di tutto per limitare ogni danno alle persone e all'ambiente in generale, ma talvolta si sfiorano scenari assurdi.
Ad esempio non c'è ragione di preferire un insaccato a cui sono stati aggiunti nitriti di origine "naturale" a nitriti "artificiali": le molecole sono uguali, e lo scopo conservante è il medesimo. Semmai si rende necessario il consumo limitato di carni conservate, secondo le indicazione dell'O.M.S.
Dobbiamo ricordare che la chimica è solo chimica, non le si possono attribuire caratteristiche di tipo etico.
Non esiste una "chimica buona" fatta di prodotti non nocivi, adatti all'agricoltura biologica, biodegradabili a cui si oppone una "chimica cattiva" che inquina l'ambiente, i terreni e nuoce a persone e ad animali.
È semplicemente una scienza che produce strumenti e conoscenze: sta a noi decidere in che modi e per che scopi utilizzarla.
I problemi derivano, semmai, dall'uso scorretto che se ne può fare.
Il monossido di diidrogeno (detto anche volgarmente "acqua") è una sostanza chimica che può essere usata sia per salvare la vita alle persone disidratate sia per ucciderle riempiendogli i polmoni tramite affogamento.
Dovremmo bandire l'acqua?
Un'altra paura, comune ma immotivata, è quella legata al consumo di prodotti geneticamente modificati.
Questi vegetali evocano subito immagini abominevoli, disgustose, che derivano anch'esse dalla paura della contaminazione.
A questa concezione è legato anche un punto di vista figlio del pensiero platonico occidentale caratterizzato da una prospettiva essenzialista del mondo, per cui pensiamo alle cose come dotate di una loro essenza intrinseca.
Mi spiego meglio: cosa rende un cavallo degno della classificazione come "cavallo"?
Quattro zampe, il nitrito, la criniera?
Un cavallo che ha subìto l'amputazione di una zampa non è più un cavallo?
Possiamo definirlo tale se possiede quindi una sua essenza personale, una sorta di "cavallinità" che lo classifica come equino.
Allo stesso modo definiamo una fragola un frutto dotato di una sua essenza personale di "fragolinità".
Modificando il genoma del vegetale ci sembra, in questo modo, di provocare il mutamento artificiale della sua "essenza" e fare questa operazione ci appare un atto contro natura e/o contro dio.
Ma la realtà è un po' differente e, indovinate, complessa.
Per prima cosa: l'uomo ha da sempre fatto una selezione artificiale delle piante (ma anche degli animali) che riteneva i migliori per i suoi scopi (specie più resistenti, produttive, dolci e saporite...) solo che la tecnologia del passato non permetteva cambiamenti veloci e precisi come oggi, che è sempre selezione artificiale ma con mezzi più sofisticati.
Il mais che conosciamo oggi, non è sempre esistito, ma è stato selezionato dall'uomo durante la storia, a partire da una specie di piccola bacca rossastra con qualche chicco.
Seconda cosa: non esiste nessuna "essenza" primigenia delle cose, questa visione deriva da un pensiero dualistico che divide il mondo in materia e spirito, corpo e mente, rifiutando una concezione unitaria per cui tutto è fatto della stessa materia.
Pensare l'esistenza di una mente separata dal corpo, che possa vivere indipendente da esso è alla base di molti fraintendimenti ed è ampiamente sconfermata da innumerevoli ricerche nell'ambito delle neuroscienze. (Un giorno parlerò anche di Damasio).
Quindi, dobbiamo aver paura della paura?
No, solamente saper distinguere le paure necessarie e funzionali da quelle immotivate.
Dobbiamo aver paura di una macchina che ci sfreccia accanto a tutta velocità? Sì, perché questa paura ci permette di reagire adeguatamente ed evitare il pericolo.
Dobbiamo aver paura del mais g.m.? Perché?
Poniamoci domande, cerchiamo informazioni affidabili, rintracciamo le fonti e restiamo scettici di fronte a chi "le spara un po' troppo grosse".

Bibliografia per approfondire:
Fuso S., "Naturale=buono?"
Rosling H. "Factfulness"
Bressanini D., Mautino B. "Contronatura"

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